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Salvataggi, recuperi e rimorchi in mare: cosa serve sapere

Nel caso in cui ci si trovasse nella situazione di richiedere un aiuto in mare oppure dover prestare soccorso, è bene conoscere la differenza tra salvataggio, recupero e rimorchio di un’imbarcazione e sapere a quali situazioni e costi si va incontro.

Avere un quadro chiaro di cosa prevede il diritto di navigazione su questi temi è importante per capire come agire in circostanze di emergenza ed evitare di esporsi a spese considerevoli e a tentativi di frode o truffa, come accadde nel caso emblematico della piena del Magra nel 2011.

La principale differenza che sta alla base delle tre operazioni in esame – salvataggio, recupero e rimorchio – è quella del compenso che spetta a chi interviene, calcolato in termini di percentuale del valore dell’imbarcazione soccorsa in mare.

La fonte normativa principale che disciplina la materia è il Codice della Navigazione, approvato con Regio Decreto del 30 marzo 1942 n. 237, e, più recentemente la Convenzione di Londra del 1989, atto finale della conferenza sul salvataggio in materia di assistenza e salvataggio marittimi, introdotta in Italia con Decreto Legge dei 1995.

Il recupero di un’imbarcazione

Il recupero di imbarcazione è inteso come il ritrovamento fortuito di un relitto in mare di cui il proprietario non è a conoscenza della posizione in cui si trova. In questo caso, secondo quanto regolamenta l’art.510 del Codice della Navigazione, per chi ritrova il natante è previsto un rimborso spese e un compenso pari al 30% del valore dell’imbarcazione nello stato in cui viene rinvenuta se il ritrovamento avviene in mare, oppure pari a un ventesimo del suo valore se si recupera il relitto su terreno demaniale (costa, spiaggia, ecc.).

La normativa prevede dei termini temporali precisi per la denuncia di ritrovamento presso l’Autorità marittima, che non possono superare i tre giorni dal rinvenimento o, se si è in navigazione, dal momento di rientro a terra.

La percentuale di rimborso è molto alta, giustificata dal fatto che le attività di recupero da parte di chi ritrova l’imbarcazione comportano dei costi e dei rischi per lo scopritore, che deve essere disposto ad assumersi. D’altro canto, accettare le spese di recupero rappresenta per il proprietario l’unica alternativa per ritrovare e riavere la propria barca.

La ricompensa è a carico del proprietario e, qualora sia ignoto, la spesa spetta all’Autorità marittima, che prende in custodia l’imbarcazione e pubblica un “Avviso di Ritrovamento” che deve essere affisso per almeno tre mesi. Trascorsi i quali, se il proprietario non si presenta, l’Autorità marittima procede alla vendita dell’imbarcazione. Nel caso in cui alla vendita non si presentano acquirenti, l’Autorità marittima può decidere di lasciare il bene a chi lo ha ritrovato.

Sottratto il compenso che spetta a chi ha ritrovato l’imbarcazione, il ricavato della vendita giace per i successivi due anni presso un istituto di credito in attesa di essere rivendicata dal legittimo proprietario. Se questi non si presenta, la somma è devoluta alla Cassa Nazionale per la Previdenza Marittima.

Queste precisazioni sfatano il falsissimo mito di senso comune che vede il mare come terra di nessuno, anzi rendono chiaro che appropriarsi di cose ritrovate in mare aperto espone al rischio di incorrere in pesanti sanzioni.

Salvataggio in mare

Il Codice della Navigazione prevede all’art. 489 che:

“l’assistenza a nave o ad aeromobile in mare o in acque interne, i quali siano in pericolo di perdersi, è obbligatoria, in quanto possibile senza grave rischio della nave soccorritrice, del suo equipaggio e dei suoi passeggeri”.

 

Prestare assistenza e operare il salvataggio di una nave o imbarcazione sono, dunque, operazioni obbligatorie ma che danno diritto al risarcimento dei danni subiti, al rimborso delle spese sostenute e a un compenso, qualora il salvataggio porti a un risultato anche parzialmente utile.

Nel salvataggio, venendo meno la fase di ricerca dell’imbarcazione, il compenso è calcolato tra l’1% ed il 5% del valore dell’imbarcazione e tiene conto di una serie di fattori:

  • Successo ottenuto;
  • Rischi corsi dalla nave soccorritrice;
  • Grado di pericolo in cui versano i beni salvati;
  • Sforzi compiuti nelle operazioni di salvataggio;
  • Tempi impiegati per il salvataggio.

Secondo un’antica regola marinaresca, la nave in difficoltà accetta il salvataggio, che dà diritto al risarcimento e al compenso, nel momento in cui accetta la cima da traino dell’imbarcazione soccorritrice.

Inoltre, nel caso in cui ci sia un pericolo di vita delle persone a bordo, il salvataggio non prevede nessun compenso ma solo l’obbligatorietà dell’assistenza, altrimenti si incorre nel reato di omissione di soccorso in mare.

Rimorchio in mare

Intuitivamente si potrebbe pensare che il salvataggio e il rimorchio di una nave siano la stessa cosa, ma non sempre trainare un’imbarcazione in difficoltà significa effettuare un salvataggio.

Il salvataggio è caratterizzato dall’immediatezza del pericolo, condizione assente in caso di rimorchio.

Quando, infatti, non sussistono situazioni di pericolo per l’imbarcazione in panne e l’operazione non prevede rischi si tratta di rimorchio. Attività che prevede dei costi decisamente meno onerosi rispetto al salvataggio o al recupero, che attengono soltanto alle spese sostenute per il traino.

In questi casi, di cui l’esempio più tipico è la circostanza in cui si richiede aiuto perché rimasti senza benzina con mare calmo, è consigliabile a chi viene rimorchiato di consegnare la cima, per evitare che chi interviene possa recriminare il salvataggio piuttosto che il rimorchio.

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