Il trasferimento del lavoratore è un argomento molto delicato nella disciplina del Diritto del Lavoro, perché oltre a toccare la sfera professionale, va a intaccare anche gli altri aspetti della vita dell’individuo.
In questo articolo proviamo a riassumere che cosa si intende per trasferimento del lavoratore, i casi in cui è ammesso, le modalità e i tempi per comunicarlo e quali sono le possibili controversie che possono nascere a seguito di una richiesta di trasferimento.
Definizione di “trasferimento del lavoratore”
Il lavoratore può vedersi modificata la propria sede di lavoro in tre differenti modalità: trasferta, distacco e trasferimento. Mentre le prime due hanno il carattere della temporaneità, la terza risulta l’unica definitiva.
Con trasferimento del lavoratore, dunque, si intende il definitivo spostamento da una sede di lavoro a un’altra del lavoratore senza limiti di durata.
Può essere chiesto su decisione unilaterale del datore di lavoro per il singolo lavoratore (trasferimento individuale) o per più dipendenti (trasferimento collettivo).
L’art. 2103 del Codice Civile, riguardante le Prestazioni di Lavoro, al comma 8, stabilisce che
“il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
Il che significa che solamente quando sussistono motivazioni di questa natura che il datore di lavoro deve sempre provare, può essere avanzata la richiesta di trasferimento.
Quando è ammesso il trasferimento del lavoratore
Oltre all’indispensabile indicazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive per cui si chiede il trasferimento del lavoratore, nel corso del tempo sono stati individuati dalla Giurisprudenza altri limiti da rispettare da parte del datore di lavoro:
- Le ragioni del trasferimento devono essere oggettive;
- Rapporto di causalità tra le motivazioni e il lavoratore trasferito;
- Il trasferimento deve contribuire al miglior funzionamento dell’azienda.
Poi vi sono alcune restrizioni o concessioni dettati da aspetti specifici, quali:
- La nullità del trasferimento per motivi discriminatori;
- L’adozione di specifiche tutele per lavoratori con disabilità o che assistono un familiari in condizioni di disabilità;
- La legittimità del trasferimento per incompatibilità ambientale nel caso di determinate categorie di lavoratori (per esempio, gli agenti di polizia o i magistrati).
Altri paletti al potere di trasferimento del datore di lavoro sono stati posti dalla contrattazione collettiva e, di conseguenza, inseriti all’interno dei relativi C.C.N.L.
Per esempio, è stato stabilito che non si può chiedere il trasferimento al lavoratore in caso di un temporaneo aumento di attività, mentre è legittimo il trasferimento dovuto dall’apertura di una nuova filiale dell’azienda.
Trasferimento illegittimo
Nel caso in cui le motivazioni del datore di lavoro non siano valide e, dunque, il trasferimento risulti illegittimo, il lavoratore può rifiutarsi di spostarsi, opponendosi con un atto scritto entro 60 giorni dalla comunicazione di trasferimento. Il passo successivo da compiere è quello di rivolgersi a un avvocato o a uno studio legale specializzato in Diritto del Lavoro per tentare la via della conciliazione o, se non si arriva a un accordo, presentare ricorso.
In quest’ultimo caso, se effettivamente il Giudice riconosce l’illegittimità del trasferimento, può dichiararlo nullo e far reintegrare il lavoratore nel suo consueto posto di lavoro.